Il titolo dell’ultima newsletter, Le mie persone preferite sono quelle che mi fanno sentire stupida, faceva riferimento a una conversazione avuta con un’amica: stavo leggendo Ultime interviste di Joan Didion e le avevo espresso l’imbarazzo che provo parlando con persone più intelligenti di me, si trovino nei libri o nella realtà.
Quando le ho chiesto un parere, ha risposto che aveva capito subito perché avessi dato quel titolo — probabilmente oscuro per il lettore — ma che non avevo esplorato il tema, limitandomi a parlare di Virginia Woolf e censurando il mio pensiero su stupidità e senso di inadeguatezza.
Nonostante scrivere una newsletter dovrebbe smentire questo tipo di remore, ho un bias legato ai tempi in cui navigavo su Facebook: memore delle decine di scrittori, operatori dell’editoria, giornalisti, blogger e altre creature mitologiche che riempivano la piattaforma di post chilometrici assolutamente inutili, mi rivolgo spesso la stessa domanda che tra me e me facevo a questi personaggi: “A chi interessa?”.
Per mettere a tacere la (legittima) vocina nella testa, di solito quando scrivo aggancio uno spunto di riflessione personale — quello dove mi permetto di prendermi un po’ di spazio — alla letteratura, e accantono il materiale umano che potrei tirare fuori altrimenti.
La presente è però una newsletter in divenire, e forse chi mi ha letto nella puntata precedente merita un chiarimento.
L’ammirazione che ho per l’intelligenza mi porta a cercare quel tipo di persone che risuonano di una grammatica particolare, che riempiono di senso una nicchia vuota all’interno di una conversazione. Per “nicchia vuota” intendo: quella cosa che non sapevi di stare cercando, e che a un certo punto viene illuminata da una frase preziosa.
Osservo l’architettura delle parole: la ricchezza del vocabolario, il registro linguistico, persino la sintassi. Lo studio diventa a volte ipnotico, e ciò che ci siamo detti continua a tornarmi in mente, come se volessi afferrarne la coda lunga e imprimerla nella testa. Prima o poi, darà vita a qualcos’altro dentro di me, un pensiero nuovo, e, unito ad altre mollichine di pane che ho raccolto, mi condurrà a una nuova casa nel bosco.
La sensazione di essere stupida davanti a chi riesce a fare un ragionamento che mi è estraneo è disagevole quanto basta. Sconfortante e confortante al tempo stesso, lascia la speranza di assorbire per osmosi un po’ della medesima intelligenza. Mi piace associare le buone conversazioni che citavo nella scorsa newsletter — le sceneggiature che si scrivono nell’aria — a un dato estetico: i luoghi scelti per ospitarle hanno spesso divanetti di velluto, mobili in legno, luci soffuse.
Va da sé che, escluse le persone della vita reale, è per la letteratura che nutro questa specie di sapiofilia non romantica né sessuale, e infatti con i miei scrittori preferiti mi sento infinitamente stupida: la già citata Didion, Zadie Smith, David Foster Wallace, tanto per indicarne tre davanti a cui i pochi neuroni che posseggo iniziano a ballare la samba — ho incontrato Zadie Smith a Milano nel 2023 e ho rischiato l’intervento di un medico in sala.
I libri ti permettono di vivere mille vite, si ripete spesso, ma a me è sempre importato poco: preferisco quello che hanno da dirmi e il modo in cui lo fanno, amo la possibilità di accedere a menti straordinarie e conoscerne il processo creativo. I diari, le note, gli appunti degli scrittori sono il mio genere prediletto, per puro voyeurismo intellettuale ma anche per interesse verso l’autenticità, che in un’opera finzionale riguarda più che altro il verosimile.
Mi aggiro per il mondo in questo stato, perennemente affetta dalla sindrome di Stendhal, alla ricerca di qualcuno o qualcosa che mi faccia sentire stupida. E così, quando lo trovo, mi sento finalmente a casa.
Il video della settimana
Mi chiedete spesso su quali libri trovare una critica dei vostri classici preferiti, quindi ho fatto un video con molti testi che ho a casa e l’elenco degli autori trattati. Se vi piace la critica letteraria, lo trovate QUI.