Nel 2020 ho smesso di informarmi.
Fino a poco prima sapevo tutto: compravo Internazionale ogni settimana, religiosamente, e ne parlavo su Instagram; monitoravo le news; consultavo le più svariate fonti di informazione indipendenti. Gestivo persino un canale Telegram dedicato agli articoli giornalistici sparsi in giro per il web.
Ogni volta che succedeva qualcosa di umanamente incomprensibile, doloroso, terrificante, leggevo: speravo che la conoscenza avrebbe scacciato la paura. Ma era solo un modo illusorio per tenere sotto controllo la realtà — impresa già difficile se parliamo della nostra vita e delle situazioni che viviamo quotidianamente, impossibile se ci riferiamo alle dinamiche politiche, economiche e socio-culturali che regolano il complesso e disallineato ordine mondiale.
Joan Didion lo dice così:
Nei momenti difficili, mi era stato insegnato fin dall’infanzia, leggi, impara, datti da fare, rivolgiti alla letteratura. Essere informati significava non perdere il controllo.
Ho eretto un muro difensivo cercando di proteggermi dal male che penetrava ovunque: la prospettiva dell’apocalisse non mi sembrava troppo lontana dopo l’avvento di una pandemia, tanto valeva vivere serenamente.
Ho quindi passato gli ultimi cinque anni sorvolando le news sulla crisi climatica, sull’assalto al Campidoglio, sulla guerra in Ucraina, sul genocidio palestinese. Quello che mi arrivava, per quanto non approfondito, era comunque abbastanza da farmi stare male. Ho seguito con attenzione il caso di Giulia Cecchettin e ho pianto per un’ora, in treno, quando hanno ritrovato il suo corpo.
Ho sempre pensato che l’informazione fosse una responsabilità individuale e collettiva, un altro di quei modi in cui è giusto e dignitoso stare al mondo. Nel momento in cui me ne sono sottratta, ho provato vergogna ma anche sollievo: l’inconsapevolezza è una droga che stordisce quel poco che serve a regalarti l’illusione che esistano solo i tuoi piccoli, insignificanti problemi.
Si è detto molto sulla mutata capacità di prestare attenzione nell’epoca delle flash newse dei social media (chi non si è autodiagnosticato l’ADHD almeno una volta?). Io non sono d’accordo: credo che siamo capaci di concentrarci tantissimo, ma solo su cose assolutamente irrilevanti e dotate di un buon — sigh — storytelling. E questo esclude l’analisi dei dati, cioè della realtà, e tutto quello che è abbastanza impegnativo da costringerci a esercitare un pensiero critico.
Il pensiero critico, forse, non lo abbiamo mai avuto, e in ogni caso sta scomparendo. Non lo dico per pressappochismo. Le discussioni che ho con i miei conoscenti difficilmente vanno al di là dei luoghi comuni, o seguono una logica coerente che non sposti di continuo il punto del discorso. Assodato il livello di istruzione e l’intelligenza personale, sembra però totalmente spento quel lobo cerebrale che non ti fa parlare come un generatore automatico di commenti letti su Facebook. Da una parte, ci si appella al piano dell’ideale, parlando di valori e norme senza però avere contezza che non abitiamo l’iperuranio; dall’altra, le opinioni espresse non hanno basi al di là della propria emotività, e/o hanno lacune logiche molto evidenti. Anche quando la nostra visione è progressista, rimane spesso incastrata in strutture mentali e arroccata in posizioni acritiche, quasi recitassimo un copione imparato a memoria.
In che modo questo si collega alla mia crisi? La stampa allarmista avverte che siamo in procinto della fine del mondo, di nuovo. E questa volta potrebbe avere ragione: l’ascesa di Trump e la pressione che sta facendo su Meta e sulle big-tech, la preoccupante rivalità tra Cina e Stati Uniti, la minaccia di un’Europa divisa, il tentativo di accesso alla privacy di milioni di persone per alimentare l’AI e chissà cos’altro, la diffusione dei governi di estrema destra con conseguenti minacce di guerra, gli attacchi all’aborto e ai diritti di persone omosessuali e transgender che aprono a scenari distopici non così tanto improbabili.
Mettere la testa sotto la sabbia nel tentativo di proteggere la salute mentale sta diventando irresponsabile, soprattutto quando gli strumenti per difendere la linea di confine scarseggiano perché — indovina — non sei abbastanza informato. Di conseguenza, anche lo spirito critico inizia a lasciare a desiderare: mi sono accorta che le mie argomentazioni rischiavano di diventare lacunose, imperfette, fallaci.
Dal mio punto di vista leggermente OCD, essere “abbastanza informato” vuol dire sapere ogni cosa, e invece la differenza oggi sta nella selezione delle fonti di informazione, che potrebbe privarti della visione d’insieme — abbiamo bisogno di leggere il Foglio? Forse, purtroppo, sì — ma anche salvarti la vita.
Rolf Dobelli, in Smetti di leggere le notizie, suggerisce di affidarsi esclusivamente a “riviste e libri che non hanno paura di rappresentare la complessità, e che hanno le risorse per farlo” e cita il New Yorker, Mit Technology Review, Foreign Affairs e l’inserto economico dell’Economist.
Temo che questa scelta sia anacronistica; i dibattiti che muovono l’opinione pubblica si svolgono sui giornali, sui social, in televisione e, se non ce ne preoccupiamo, rischiano di lasciare spazio alle opinioni più repressive e antidemocratiche. La sfida consiste quindi nello stare dentro al flusso di informazioni senza farsi travolgere, prendendosi il tempo di riflettere, scambiandosi opinioni, allenando la concentrazione su ciò che vale la pena e distogliendola da tutto quello che non risponde alla domanda: cosa mi sta dicendo di significativo sul presente?
Non è poco: il lavoro di archeologia che serve a selezionare e discriminare cosa ha senso e cosa no è faticoso e incerto, senza alcuna garanzia. Alla base c'è il senso di comunità, che sia dal vivo o online, in quel poco di Internet libero che rimane: fare rete, aggregarsi per ascoltare punti di vista fuori dal giro dell’informazione ufficiale, scrivere su piattaforme di nicchia, cercare fonti indipendenti. E, allo stesso tempo, rimanere sintonizzati sulla comunicazione dei canali generalisti.
Decidere, nonostante tutto, di approfondire le notizie è un atto di coraggio. Farlo con cognizione di causa è un atto di resistenza. Vivere, finanziare, fruire la cultura è l’unico modo che ci rimane per non soccombere, almeno spiritualmente, a quello che ci attende. Qualsiasi cosa sia.
Il video della settimana
Questa settimana non ho pubblicato nulla di nuovo su YouTube. Ho l’impressione che la velocità con cui ho pubblicato un video dopo l’altro nelle ultime settimane ne stesse danneggiando la qualità, e inoltre i risultati in termini di visualizzazioni mi stavano penalizzando. Ho quindi deciso di prendermi qualche giorno di riflessione: se voleste scrivermi cosa vi sembra che vada/non vada nel canale, o se avete qualche suggerimento, sarei ben lieta di ascoltarvi.
Le ultime newsletter
Come lo Spritz del venerdì ha alterato la chimica del mio
Una newsletter divertente che non scriverò mai più
Il manuale di sopravvivenza diceva: scrivi
Il mondo non è finito quando ho quasi vomitato davanti a Zadie Smith
Le mie persone preferite sono quelle che mi fanno sentire stupida
Mi ritrovo molto nelle tue parole, e ammiro chi riesce a rimanere informato senza perdere la propria lucidità. Mi rendo conto che forse il problema sta nel fatto che, quando leggo di tutte le cose terribili che succedono e degli scenari ancora peggiori che prospettano, la mia reazione è quella di capitolare davanti a questi fatti, pensando di non poter fare in alcun modo la differenza su come questi si "srotolano" nel mondo. E invece forse andrebbe cambiata la prospettiva con cui io, almeno, leggo le notizie: informarsi non per prepararsi a un futuro inevitabile, ma per agire, e ribaltarlo.
Leggere questo tuo scritto mi ha fatto molto riflettere. Anche io come te da qualche tempo mi ero allontanata da tutte le news allarmiste e catastrofiste. Ho due bambini e la paura del loro futuro mi aveva paralizzata. E poi.. come te non avevo più la consapevolezza e conoscenza per aiutare loro e soprattutto me stessa per affrontare una giornata tipo in questa società sessista, aggressiva e sempre performante. . Così sto ricominciando, gradualmente ad approfondire temi selezionati. Ho ammesso con me stessa che non posso sapere e approfondire tutto, sono tornata in analisi e ..vivo meglio. E leggerti mi aiuta a sentirmi meno sola. Grazie 😘